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Nasce una nuova trilogia, recensione di "Outcast" di Alina Bronsky

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Fate, distopia, formazione: l'incantesimo Bronsky è servito

La copertina ritrae una ragazza dai capelli blu.
Dinanzi a questi capelli color cobalto, pensavo di addentrarmi in una storia troppo lontana rispetto ai miei gusti letterari. Finito il libro posso dire di aver fatto bene a superare i miei pregiudizi ed essermi addentrata in un territorio a me sconosciuto, ossia il genere urban fantasy e al cd. "young adult".

Incomincio a leggere, armata della mia tisana ai frutti rossi, e già dalla prima pagina ci si accorge che "qualcosa non torna": siamo nell'epoca della Normalità Assoluta, in un tempo non esplicitato ma facilmente intuibile (un futuro lontano), la società è divisa appunto in Normali e Freak, dai quali bisogna stare alla larga.
Un viaggio in un mondo parallelo, dove la vita di Juliana, una ragazzina di 15 anni, viene sconvolta dalla scomparsa della madre (come da quarta di copertina) e dalla scoperta che i suoi genitori non sono quelli che credeva, tutto ciò la porterà a vivere esperienze difficili ma anche emozionanti.
La cosa che più ha destato in me curiosità è stata una circostanza inaspettata: man mano che la lettura prosegue, si entrerà in contatto con le Fate, sì proprio con le fate, ma attenzione non sono quel che sembrano e nell'epoca della Normalità non bisogna assolutamente avere a che fare con questi esseri, anche se c'è chi, come Ksü, l'amica della protagonista (e la mia preferita), vuol diventare Avvocato delle Fate e studia tutto ciò che riguarda Storia e costumi delle Fate.

"Outcast" si pone a metà tra il romanzo distopico (Distopia: come riconoscerla) e il fantasy, in particolare l'urban fantasy, è una lettura scorrevole. L'autrice sceglie un linguaggio semplice e per questo efficace e diretto, non c'è introduzione, si parte subito con la scoperta, da parte di Juli al ritorno da scuola, della sparizione della madre e la Bronsky introduce un elemento indispensabile (originale nella sua tradizionalità) ossia la magia, che dà una connotazione misteriosa all'intera storia, rendendola fiabesca ma senza scadere nell'ovvietà nè nella banalità.
Romanzo che potrei definire di formazione, "Outcast" racconta della forza che la protagonista convoglierà nelle sfide impreviste che dovrà affrontare: dalla ricerca di sua madre, alla scoperta dell'amore che sembra impossibile, all'importanza dell'amicizia, porto sicuro verso cui sempre approdare durante le tempeste, alle problematiche legate all'adolescenza che ogni adulto avrà ben presenti dinanzi agli occhi, mentre legge queste pagine.

Il tema principale di cui ci parla la Bronsky in questo romanzo è quello, evidente, dell'appartenenza sociale: aderire a un gruppo piuttosto che a un altro, segna la linea di demarcazione tra il conformismo, e la connessa stereopitizzazione delle azioni e dei comportamenti, fino a mettere radici nel modo di pensare e arrivare così all'omologazione e alla visione meccanicistica della realtà circostante, e la trasgressione (nei capelli blu) che poi confluisce nella ribellione alle regole e all'intero sistema, che nello specifico, è un sistema totalitario, la Normalità Assoluta, dove non è ammesso neppure porsi delle domande.
Essere Outcast, allora, diviene la conquista del proprio posto nel mondo, l'esperienza di un'adolescente verso l'età adulta.

Riporto uno dei passi che più mi è piaciuto, il perchè lo scoprirete solo leggendo... persino l'Arte è proibita, nell'era della Normalità.

“La cornice del quadro è una porta. Ogni volta che ne vedo una devo fare attenzione, dice Laura. Nessuno sa cosa potrà capitargli una volta qui, e ci sono persone che dopo aver attraversato una cornice hanno perso per sempre il lume della ragione”. [Pag. 244]

Non mi resta che aspettare il secondo volume, e detto da me che non sono per nulla ossessionata da trilogie, la dice lunga su come mi sia piaciuto questo libro.

Prima di congedarvi, voglio mostrarvi le due copertine, quella tedesca (con cui "nasce" il romanzo) e quella italiana e porvi due riflessioni:
1. perchè due copertine così diverse? (Mi piacciono entrambe)
2 (ma soprattutto) come ha fatto un libro, ab origine, intitolato (letteralmente) "specchio bambino" (Spiegelkind) ad arrivare in Italia con il titolo tradotto in "Outcast"? Nulla in contrario, solo che la traduzione non è fedele, a mio avviso il secondo titolo collima con la storia perfettamente, ma avrei lasciato il titolo originale che rispecchia più un gioco di parole.
(Una simile riflessione l'ho fatta anche per i libri di Joanne Harris)

 

Scheda tecnica
Titolo: Outcast
Titolo originale: Spiegelkind
Traduzione: Leonella Basiglini
Autore: Alina Bronsky
Copertina rigida: 273 pagine
Editore: Corbaccio
Prezzo: € 16,40
e-book: € 9,99
ISBN-10: 8863805288
ISBN-13: 978-8863805284
Data di uscita: 24 Aprile 2014
Età consigliabile: dai 15 anni in poi
Potete acquistarlo qui

Pillole biografiche
Alina Bronsky, classe 1978, è stata una studentessa di medicina e copy writer, prima di dedicarsi alla scrittura. Nasce in una cittadina della Russia e all’età di 13 anni si trasferisce in Germania. Il suo romanzo d’esordio, "Scherbenpark", è risultato finalista di un famoso premio tedesco, il Ingeborg-Bachmann-Preis. Il suo libro Outcast è stato definito “splendido” da Kerstin Grier. Apprezzata subito dal pubblico e dalla critica tedesca più prestigiosa, ha ricevuto importantissime nomination a vari premi letterari. Lo «Spiegel» l'ha definita «una delle voci più promettenti della nuova generazione». I suoi romanzi sono in pubblicazione in oltre 15 paesi del mondo, tra cui gli Stati Uniti. In Italia Corbaccio ha pubblicato con successo «Outcast».

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